Indebito Inps su pensione di anzianità revocata per contribuzione certificata e successivamente “indisponibile”

Grande risultato per l’Ufficio Enasc di Polistena, in provincia di Reggio Calabria, retto dal Responsabile – Rocco Gentile -, che in collaborazione con il proprio legale/convenzionato- Avv. Domenico Mamone – ha ottenuto una importante sentenza dal Tribunale di Palmi (RC), con il riconoscimento dell’irripetibilità delle somme richieste da parte dell’Inps e la restituzione delle somme trattenute, su un indebito pensionistico per la revoca della pensione di anzianità.

In sintesi, il Patronato Enasc di Polistena aveva fatto richiesta, prima della estratto conto certificativo in base all’articolo 54 della legge 88/1989, e successivamente della pensione di anzianità con decorrenza dal 1° gennaio 1999.

Successivamente, in data 29.11.2019, si presentava una domanda di ricostituzione contributiva ed in risposta a tale richiesta, l’Inps, in data 28.2.2020, “revocava” la pensione di anzianità ex-tunc in quanto, a loro avviso, non sussistevano i requisiti contributivi per la liquidazione della prestazione.

Quindi sempre l’Inps liquidava una “nuova” pensione, con decorrenza diversa dalla precedente e comunicava all’interessato che si era “formato” un indebito di € 59.176,20, che scaturiva fuori dall’indebito della revoca delle “prima” pensione di anzianità, di € 121.390,21, alla quale andava “sottratto” il “credito” della nuova pensione, di € 62.214,01.

In data 22 aprile 2020, il Patronato Enasc ricorreva contro tale provvedimento, al Comitato Prov.le, senza ricevere alcuna risposta in merito.

Successivamente, il Patronato Enasc di Polistena, con la consulenza e l’attività svolta dal proprio legale – Avv. Mamone Domenico- proponeva ricorso legale al fine di vedere “annullate” le somme richieste col l’indebito pensionistico.

Nella memoria difensiva, l’Inps dichiarava che la pensione di anzianità era stata revocata ex-tunc in quanto gli anni contributivi, 1982 e 1989, erano “indisponibili” e che comunque, successivamente, sempre l’Istituto, aveva provveduto a liquidare all’assistito una “nuova” pensione, con decorrenza diversa.

Qui di seguito il sunto della sentenza:

“Il sig.X, in punto di diritto, affidava le proprie difese a due argomentazioni: l’illegittimità delle richieste di cui alla missiva del 28.02.2020 per difetto di specificazione delle motivazioni della variazione contributiva che hanno portato alla perdita del requisito contributivo e l’infondatezza della richiesta di restituzione delle somme essendo l’indebito non ripetibile ex art. 52 L. 88/1989 ed ex art. 13 L.412/1991, anche per insussistenza del dolo in capo al ricorrente.

Ai fini della decisione si deve premettere come, ex art. 2697 c.c., non gravi sull’INPS, ma sul pensionato – che chiede l’accertamento negativo del diritto dell’Istituto di procedere alla ripetizione di quanto indebitamente erogato – l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa. La giurisprudenza più recente, peraltro anche a Sezioni Unite, ha infatti affermato che: “Il pensionato che agisca in giudizio nei confronti dell’ente previdenziale al fine di ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire prestazioni, per le quali l’ente stia effettuando la ripetizione di indebito, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a percepire quelle prestazioni” (cfr. Cass. civile, sez. un., 04/08/2010, n. 18046). Il suddetto principio può trovare applicazione in quanto nel provvedimento di recupero emesso in via amministrativa dall’ente previdenziale siano richiamati i tratti essenziali della richiesta di restituzione, quali gli estremi del pagamento e l’indicazione, sia pure sintetica, delle ragioni che non legittimerebbero la corresponsione delle somme erogate, in modo da consentire al pensionato, presunto debitore, di effettuare necessario controllo sulla sua correttezza (Cass. sez. lav. n. 198/2011); in difetto di tali presupposti, non scatta l’onere della prova in capo al pensionato di provare i fatti costitutivi del diritto a percepire le prestazioni oggetto di indebito. Dal tenore di tale sentenza si evince che – in alternativa – per far scattare l’onere della prova ex art. 2697 c.c. in capo all’accipiens è sufficiente che l’INPS, costituendosi in giudizio, fornisca argomenti idonei a consentire la ricostruzione delle ragioni che lo hanno indotto all’emissione del provvedimento di recupero, così adempiendo l’onere di contestazione previsto dall’art. 416 c.p.c. in capo alla parte convenuta.

Ebbene, nella specie, nella comunicazione del 28.02.2020 che informava il ricorrente della revoca del trattamento pensionistico goduto si legge: “in seguito dell’istruttoria della domanda di ricostituzione contributiva  presentata in data 29.11.2019, è stata revisionata la posizione contributiva nel complesso ed è emerso che non sussistono i requisiti contributivi per la pensione di anzianità/anticipata a suo tempo liquidata”; nella successiva lettera del 22.03.2020 l’Ente comunicava l’indebito pari ad € 59.176,20, sulla pensione Cat. VO “per il periodo che va dall’1.03.2010 al 31.03.2020” precisando che “la pensione è stata annullata in quanto sono venuti meno i requisiti richiesti dalla legge per il riconoscimento del diritto. Trattasi di debito residuo a seguito di compensazione con arretrati su nuova pensione cat. VO ”.

Non può dirsi, pertanto che l’INPS abbia fornito al ricorrente le indicazioni ed gli elementi utili a far comprendere al ricorrente le ragioni che hanno determinato il venir meno dei requisiti contributivi per la pensione liquidata con decorrenza 1 gennaio 1999 né, tantomeno, del carattere indebito delle somme percepite e la correttezza del calcolo effettuato.

Non è dato, infatti, evincere nel provvedimento le ragioni fondanti il ricalcolo e le modalità dello stesso.

Nel caso di specie, solamente dalle precisazioni offerte nella memoria di costituzione in giudizio dell’INPS, si evince come l’indebito oggetto di recupero tragga origine dall’indisponibilità dei contributi relativi agli anni 1982 e 1989, senza tuttavia comunicare al ricorrente le ragioni di tale indisponibilità.

Al riguardo si osserva che il ricorrente non conoscendo le ragioni di tale indisponibilità, non è stato messo nelle condizioni di argomentare e provare la sussistenza del diritto.

Poiché l’INPS non ha adempiuto l’onere di fornire argomenti idonei a consentire la ricostruzione delle ragioni che lo hanno indotto all’emissione del provvedimento di recupero, in base alla giurisprudenza innanzi citata della Suprema Corte, non scatta sul ricorrente l’onere ex art. 2697 c.c. di provare i fatti costitutivi del diritto azionato.

Tanto brevemente premesso sugli oneri probatori, appare necessario procedere a breve disamina del complesso quadro normativo regolante la materia dell’indebito pensionistico.

La materia degli indebiti sui trattamenti pensionistici erogati dall’INPS, è stata disciplinata nel tempo dall’art. 80 del RD 28.8.24 n. 1422, dall’art. 52 della legge 9.9.89 n. 88, dall’art. 13 della legge 30.12.91 n. 412, dalla l. 662/96, e dalla legge n. 448/01 che hanno previsto limiti al principio generale dell’art. 2033 c.c. per il quale chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha il diritto di ripetere quanto pagato. In merito alla successione di diverse normative, le SSUU (sentenze nn. 900, 901, 902, 1315, 1317 e 1966 del 1995) hanno chiarito che, per valutare quali siano le disposizioni applicabili deve aversi riguardo al tempo nel quale è stato effettuato il pagamento indebito.

Per quanto riguarda le somme relative ai ratei di pensione pagati successivamente all’1.11.2001 torna ad essere applicabile, dopo la parentesi dettata dall’art. 38 cc. 7, 8, 9 e 10 della l. 448/01 per gli indebiti anteriori al 2001, la disciplina a regime prevista dall’art. 13 legge n. 412 /1991, in base alla quale “Le disposizioni di cui all’articolo 52, comma 2, della L. 9 marzo 1989, n. 88, si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all’interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. L’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite.

Così delineata la disciplina, si osserva che è necessario verificare se via sia stato dolo o una omessa o incompleta segnalazione, da parte della ricorrente, di dati incidenti sul diritto o sulla misura della pensione, che non fossero già conosciuti dall’ente resistente.

Dagli atti di causa emerge che nessun comportamento doloso o omissivo può essere contestato al ricorrente.

Le ragioni dell’indebito come risultanti dagli atti disponibili, sono rinvenibili nell’indisponibilità contributiva riferita agli anni 1982 e 1989, anteriori alla liquidazione originaria della pensione decorrente dal 1999 e della cui consapevolezza da parte del ricorrente non vi è prova in atti, mancando qualsivoglia riscontro di un avvenuto disconoscimento o di altra causa determinante l’indisponibilità.

A ciò si deve aggiungere che dagli estratti contributivi a disposizione del ricorrente ancora in data 14.02.2020, di poco antecedente alla revoca della prestazione i contributi per gli anni in questione risultano regolarmente conteggiati.

E allora, l’origine dell’indebito può essere ascritta unicamente all’errore dell’INPS che solo a distanza di 20 anni si è accorta dell’erroneo conteggio dei contributi.

E’ evidente, pertanto, che nessun contributo al maggior pagamento è stato determinato da fatto ascrivibile al ricorrente.

Più volte la Corte Costituzionale ha ricordato che “diversamente “dalla generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, trova applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto… avente come minimo comun denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta”(Corte Cost n. 166/1996). D’altra parte è lo stesso comma 2 dell’art. 13 che, pur non prevedendo un termine unico per la conclusione del procedimento, ma statuendo che “L’INPS procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza.” fornisce un adeguato “criterio di orientamento” (Corte Cost. cit.), indicando un discrimine temporale, superato il quale – nei casi in cui i dati siano conosciuti dall’Ente- le somme devono essere considerate irripetibili.

Ciò posto, alla luce della disciplina su richiamata, ,deve dichiararsi che parte ricorrente nulla deve all’Inps in ordine alle causali e per gli importi indicati nella missiva del 22.03.2020.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza con distrazione ex art. 93 c.p.c.

 

Quindi il Giudice del lavoro definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da X contro INPS, così provvede:

  • accoglie la domanda e, per l’effetto, dichiara irripetibili la somma di € 59.176,20 oggetto della richiesta di restituzione INPS di cui alla nota datata 22.03.2020 e, per l’effetto, condanna quest’ultimo alla restituzione, in favore di parte ricorrente, degli importi eventualmente trattenuti a tale titolo, oltre interessi legali e rivalutazione;
  • condanna l’INPS resistente al pagamento delle spese processuali

 

Palmi, lì 14 luglio 2022.