Enasc in ….. pillole: il principio dell’automaticità delle prestazioni

 Cos’è il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali? Dall’esatto versamento dei contributi previdenziali dipendono diversi diritti del lavoratore: dal riconoscimento della pensione all’ottenimento dei benefici previsti dall’Inps per i disoccupati. Cosa succede però se il lavoratore dovesse accorgersi che la propria posizione previdenziale non è in regola? La regola vuole che, in linea generale, sia responsabile il datore di lavoro e che, pertanto, ciò non sia d’ostacolo all’ottenimento delle prestazioni a carico dell’Inps. Ciò per via del cosiddetto «principio di automaticità delle prestazioni previdenziali».

Cerchiamo di comprendere, più nel dettaglio, di cosa si tratta e come funziona questo meccanismo previsto solo per i lavoratori dipendenti subordinati e non anche, ad esempio, per gli imprenditori, gli autonomi e i collaboratori esterni (gli iscritti alla gestione separata).

Il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali, enunciato in via generale dall’articolo 2116 del codice civile, operante fin dall’origine dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (articolo 67 del Dpr n. 1121 del 1965), ha trovato attuazione piena per le prestazioni previdenziali temporanee (articolo 27 del Rdl n. 636 del 1939), ma non per le gestioni pensionistiche, in cui ha preso ad operare solo in tempi successivi ed in forma limitata.

L’articolo 40 della legge n. 153 del 1969 stabilisce che i contributi che, con documenti di data certa, il lavoratore dimostra come “dovuti”, anche se non effettivamente versati, sono comunque utili ai fini del conseguimento dei requisiti minimi per il diritto ed il calcolo della pensione, purché non siano superati i termini della prescrizione.

L’articolo 23-ter della legge n. 485 del 1972 ha poi precisato che detti contributi “sono considerati utili anche ai fini della determinazione della misura delle pensioni“ (anche se l’azione di recupero nei confronti del datore di lavoro non va a buon fine).

È stato così neutralizzato ogni possibile danno al lavoratore per le omissioni contributive.

Attenzione va tuttavia posta all’interruzione dei termini prescrizionali.

Il termine per fare la segnalazione all’Inps è di cinque anni, dopo i quali il diritto alle prestazioni previdenziali cade in prescrizione.

In questa ipotesi (ossia in caso di intervenuta prescrizione), il dipendente potrebbe intraprendere una delle seguenti strade:

– ottenere una rendita dall’Inps a carico del datore di lavoro che, in un certo modo, compensi il suo diritto alle prestazioni previdenziali;

– agire contro il datore di lavoro per il risarcimento dei danni;

– riscattare i contributi non versati, pagando all’Inps le somme che a suo tempo dovevano essere versate.

Per ottenere il riconoscimento del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, il dipendente è tenuto a fornire all’Inps la prova della sussistenza del rapporto di lavoro, esibendo i documenti e le altre prove oppure idonea dichiarazione.

Nel caso di omessa contribuzione si possono verificare tre casi:

– i contributi non sono prescritti al momento in cui si verifica l’evento-rischio assicurato (ad esempio: compimento dell’età pensionabile). Il lavoratore, in forza del principio dell’automaticità delle prestazioni assicurative, consegue il diritto alla pensione;

– i contributi non sono ancora prescritti, ma l’evento-rischio assicurato si verificherà solo dopo la loro prescrizione (ad esempio: mancano ancora molti anni al raggiungimento dell’età pensionabile). Il lavoratore, fino al momento in cui i contributi possono ancora essere riscossi dall’Inps, può attivarsi contro l’inadempimento del datore di lavoro, in due modi: o presentando idonea denuncia all’Inps affinché provveda alla riscossione; oppure chiedendo in giudizio la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi stessi. In caso di mancato tempestivo recupero dei contributi da parte dell’Inps, l’Istituto stesso si rende responsabile nei confronti del lavoratore;

– i contributi sono prescritti. In tal caso, non opera più il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali e non essendo più possibile la riscossione coatta dei contributi, il lavoratore, dal momento che la sua posizione assicurativa ha subito un pregiudizio irrimediabile, può chiedere nei confronti del datore il diritto al risarcimento dei danni o il risarcimento in forma specifica a mezzo di costituzione di una rendita vitalizia reversibile. La rendita ha la funzione di coprire la pensione o la quota di pensione che sarebbe spettata in relazione ai contributi omessi: gli importi a tal fine corrisposti all’Inps sono collocati nel periodo in cui i contributi avrebbero dovuto essere versati.

L’Inps, con propria circolare n. 59 del 2003, ha precisato che per i contributi dovuti ma non versati, purché non prescritti, è possibile anche la ricongiunzione verso altri enti.

Inoltre, quando il datore di lavoro sia stato sottoposto alle procedure concorsuali individuate all’articolo 1 del Dlgs n. 80 del 1992, ma la procedura non abbia consentito il recupero della contribuzione omessa e non vi sia stata costituzione della rendita vitalizia ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 1338 del 1962, l’articolo 3 del Dlgs di cui sopra attribuisce all’assicurato (limitatamente alle omissioni contributive successive all’entrata in vigore del Dlgs n. 80/1992), la facoltà di chiedere al competente istituto di previdenza obbligatoria che, ai fini del diritto e della misura della prestazione, siano considerati come versati i contributi omessi, ancorché prescritti.

 

Allegato Varie Sentenze relative all’articolo 2116 del Codice Civile  https://enasc.it/wp-content/uploads/2022/05/Articolo-2116-del-Codice-Civile-Automaticita-delle-Prestazioni.pdf