Revoca di una prestazione assistenziale e necessità di una nuova domanda amministrativa (Sentenza Sezione Unite Cassazione n. 14561 del 9.5.2022)

L’Inps da “sempre” ha sostenuto – sulla base di un “consolidato” orientamento giurisprudenziale (da ultimo Cassazione, ord. n. 4788/19) – che quando un cittadino intenda ottenere il ripristino di una prestazione assistenziale precedentemente REVOCATA, questi è tenuto a presentare una nuova domanda amministrativa, essendo preclusa l’impugnativa in sede giudiziale del relativo provvedimento.

 

Facciamo un po’ di “storia” del problema:

“L’orientamento della Cassazione, con l’ordinanza n. 4788 del 2019 secondo cui, quando interviene la revoca di una prestazione assistenziale, il beneficiario deve presentare una nuova domanda amministrativa non solo è sacrosanto ma non fa altro che confermare quanto previsto dalla normativa in materia.

Il problema è quello di far capire, la differenza formale e sostanziale tra il verbale negativo di revisione sanitaria (sempre impugnabile in giudizio, cui seguirà la sospensione della prestazione nei 30 giorni successivi) ed il successivo provvedimento di revoca (che può intervenire solo quando il verbale non viene impugnato in giudizio nei 6 mesi oppure, se impugnato, il relativo giudizio dovesse concludersi con esito negativo).

E’ evidente che qualora, per assurdo e per ipotesi, il provvedimento formale di revoca dovesse intervenire prima dei 6 mesi stabiliti per l’impugnazione o prima della conclusione del giudizio di ATPO, quest’ultimo sarebbe autonomamente impugnabile con ricorso ordinario per mancanza di motivazione. “

 

Ora, con la Sentenza della Cassazione a Sezione Unite, la n. 14561 del 9.5.2022, l’annosa questione “revoca/nuova domanda” ha avuto il suo “termine” con il seguente principio di diritto (punto 20):

Ai fini della proponibilità dell’azione giudiziaria con la quale, in caso di revoca di una prestazione assistenziale, si intenda accertare la persistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione di invalidità non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa“.

 

Le Sezioni unite, quindi, ha affermando un principio di diritto, accogliendo il ricorso di un uomo contro la decisione della Corte di appello di Napoli, che in ossequio alla giurisprudenza fino ad oggi dominante, aveva invece rigettato il gravame ritenendo che l’interessato fosse tenuto a presentare una nuova domanda amministrativa, “mancando la quale l’azione poteva e doveva essere dichiarata improponibile in ogni stato e grado del giudizio”.

Per la Suprema corte, che ha fatto proprie la perplessità della Sezione lavoro, quale giudice rimettente, va invece affermato che: “Ai fini della proponibilità dell’azione giudiziaria con la quale, in caso di revoca di una prestazione assistenziale, si intenda accertare la persistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione di invalidità non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa“.

Infatti, imponendo all’invalido, che si sia visto revocare la prestazione in godimento, l’obbligo di presentare una nuova domanda amministrativa “si finisce per precludere, in contrasto con i principi dettati dagli artt. 24 e 113 Cost., la possibilità di ottenere una piena tutela giurisdizionale del diritto inciso dal provvedimento adottato dall’amministrazione.

In sintesi, al termine di una lunga ricostruzione normativa e giurisprudenziale, i Supremi giudici, affermano che la “presentazione di una domanda amministrativa quale antecedente necessario per la proposizione della domanda giudiziaria con la quale si chieda il ripristino della prestazione di invalidità che si assuma essere stata erroneamente revocata all’esito del procedimento di verifica della persistenza dei suoi requisiti costitutivi si risolve in un adempimento che comporta da un canto rilevanti conseguenze in danno dell’invalido al quale non potrà essere riconosciuto in sede giudiziaria un integrale ripristino del diritto pur illegittimamente revocato”. Si determinerebbe infatti una sorta di “intangibilità” della revoca anche da parte del giudice, il quale non potrebbe riconoscere il diritto in continuità dal pur accertato ingiusto annullamento con conseguente pregiudizio per l’invalido.

“Dall’altro – prosegue – non assolve ad un concreto interesse per l’amministrazione la quale in sede di revisione della prestazione ha già svolto gli accertamenti amministrativi necessari alla verifica dell’esistenza o meno in capo all’invalido dei requisiti costitutivi del diritto già in godimento”.

Si tratta dunque, continua la decisione, di un adempimento che “non è funzionale ad agevolare la risoluzione amministrativa della potenziale controversia agendo deflattivamente sul contenzioso giudiziario.

Potenzialmente, anzi, si potrebbe produrre un effetto paradosso di moltiplicare le impugnazioni: sia della sospensione in via amministrativa della prestazione sia, poi, della revoca, per la quale sarebbe necessaria, comunque, la presentazione di una nuova domanda amministrativa”.

Dando luogo ad una ricostruzione che “complessivamente considerata non risponde ad un criterio di ragionevolezza che ne giustifichi la condivisione”.

 

Importantissima anche la parte in cui le S.S.U.U. si pronunciano sulla pacifica applicabilità dell’art. 149 d.a. cpc (aggravamenti intervenuti in corso di giudizio) ai giudizi avverso i verbali di mancata conferma (punto 19.3):

A tale soluzione non è di ostacolo l’eventualità che nel corso del giudizio si accerti che i requisiti per beneficiare della prestazione fossero effettivamente venuti meno al momento della revoca e che se ne fossero realizzate nuovamente le condizioni successivamente posto che a norma dell’art. 149 disp. att. cod.proc.civ. resta comunque nella facoltà del giudice di tener conto degli aggravamenti intervenuti nel corso del procedimento“.

 

Appena in possesso di altre informazioni e della relativa circolare dell’Inps, di recepimento della Sentenza, torneremo sull’argomento.